Blockchain, oltre la mucca c’è di più

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Articolo a firma di Marco Tinti, Director di CRIO Solutions

“Il nuovo patto con il consumatore si costruisce con la massima trasparenza e la tracciabilità dal campo alla tavola”: negli uffici marketing e vendite di tantissime aziende italiane questo mantra risuona durante tutte le riunioni e ha come fulcro la blockchain, la nuova divinità (creata dall’uomo) che è in grado di certificare che davvero un processo (come l’allevamento di un animale) si è svolto in un certo modo, senza ombra di dubbio.

Per moltissimi settori merceologici la blockchain è idea nuova, comparsa sui radar negli ultimi due anni. In realtà stiamo parlando di un sistema in uso già dal 2009 e nato per la gestione delle transazioni digitali di valore (vi dicono niente i Bitcoin?). Si può definire come un registro digitale costituito da blocchi concatenati tra loro in ordine cronologico, che utilizza la crittografia per la firma delle transazioni e la sicurezza dei dati. In tal modo un elemento scritto in questi registri rimane immutabile nel tempo e verificabile da chiunque.

Questo sistema può quindi garantire l’autenticità dei contenuti? Dal momento che i contenuti vengono immessi dall’utente, si può facilmente capire che la risposta alla domanda è legata a come questi vengono prodotti. Naturalmente, se la scrittura nella blockchain viene fatta da qualcuno che se ne prende la responsabilità, ad esempio come nel caso di una dichiarazione firmata, non ci sono problemi, ma negli altri casi?

Prendiamo una mucca… No, non la prendiamo sul serio e non la portiamo a casa (non sapremmo dove metterla, peraltro…). Prendiamo in verità un litro di latte al supermercato, pubblicizzato come a “filiera tracciata”; fotografiamo il QR Code che è inserito sulla confezione e sullo smartphone ci appaiono le informazioni, certificate dalla blockchain, in merito alla filiera di produzione del latte stesso: dove viveva la mucca che l’ha prodotto, cosa mangiava, dove è stato conferito, come è stato trattato, da chi è stato confezionato e consegnato presso il punto di vendita.

Queste indicazioni sono tutte preziosissime, agli occhi di un consumatore molto attento, desideroso per esempio di mangiare sano, di bere latte italiano munto da mucche italiane che hanno mangiato solo erba brucata a 800 metri di altitudine. Una vera manna di informazioni che rendono la referenza appealing. Inoltre, lo sforzo per la tracciabilità tramite blockchain giustifica anche un eventuale aumento di prezzo del prodotto (rispetto a uno non tracciato).

All’interno della blockchain, effettivamente, i dati sono davvero certi e non modificabili: ciò che viene inserito è e resta autentico. Un eventuale problema – in odore però di truffa, non di lavoro serio e coscienzioso – potrebbe riscontrarsi relativamente ai dati non-nativamente digitali. Ovvero: chi, nella realtà, può realmente confermare che la mucca che ha dato il latte YX abbia davvero brucato a 800 metri di altitudine?

Attenzione: non si sta mettendo in discussione l’indiscutibile valore di questo strumento di certificazione. Si sta solo precisando che occorre una particolare serietà nel suo utilizzo, specie se ci si trova di fronte a dati non generati digitalmente.

Nonostante alcuni aspetti migliorabili soprattutto quelli legati alla lentezza causata dall’allineamento delle informazioni per ogni nodo, la blockchain possiede tantissimi elementi di valore ed è pronta per uscire dal mondo Finance che l’ha inizialmente sospinta ed essere realmente utile (non solo per scopi commerciali).

Pensiamo agli smart contract nel settore legale, con la possibilità di eseguire transazioni senza la fisicità delle persone; agli accordi tra le persone; agli scambi di beni e servizi. Pensiamo, ancora, alla necessità di certificare l’esistenza di un certo contenuto digitale (e-mail, foto, video) in un certo momento e in una certa forma, per eventuali tutele o denunce in merito a diritto d’autore, stalking, cyberbullismo, revenge porn. In ciascuno di questi casi, tramite apposite applicazioni che sfruttano la blockchain, possiamo davvero “congelare” le informazioni, bloccarle in modo che non possano essere modificate.

La blockchain può, tra l’altro, essere integrata con altri sistemi. Si pensi al caso della banca che necessita di ricevere da un proprio cliente la busta paga, per un prestito. Per evitare che vi siano manomissioni, dunque problemi di sicurezza e veridicità, il documento (magari già firmato digitalmente dall’ente erogatore) può essere direttamente “pescato” dal portale intranet dell’azienda del dipendente e scritto in blockchain senza che questi possa avere la possibilità di modificarlo. In questo modo la banca potrà verificarne l’effettivo caricamento nella blockchain.

La chiave di e per il futuro? Come il lockdown ci ha dimostrato, la nostra vita, anche professionale, avrà sempre più a che fare con gli strumenti digitali. La blockchain diventerà essenziale ogni volta che vi saranno interazioni on line tra gli utenti (videochat, trasmissioni di file su sistemi di messaggistica, videoconferencing…) e che sarà necessario garantire trasparenza e garanzia alle informazioni, in modo che non vi sia ombra di dubbio che i dati siano reali, non contraffatti, e che possano essere usati. Per questo occorrerà lavorare maggiormente – lato gestori della blockchain – su aspetti quali il trust e la trasparenza, oltre che la compliance con le regole del GDPR.

Con questi elementi maggiormente a fuoco, sarà davvero possibile rendere efficace ed efficiente la blockchain anche in settori merceologici non nativamente digitali e renderla uno strumento di vera customer experience basata su dati di realtà.